mercoledì 17 dicembre 2014

Jobs Act

Oggi entra in vigore il cosiddetto Jobs Act.
Infatti la legge 10/12/2014 n. 183 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 290 del 15 dicembre 2014 e, come espressamente previsto dall'art. 1, comma 14°, la norma entra in vigore oggi.

mercoledì 10 dicembre 2014

Patto di prova computo riposo settimanale

Il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso in quanto preclude alle parti, sia pure temporaneamente, la sperimentazione della reciproca convenienza del contratto di lavoro, che costituisce la causa del patto di prova in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza ed il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro ed il godimento delle ferie annuali. Quest'ultimo, data la sua funzione di periodo di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova. 
Tale principio, tuttavia, osserva la Cassazione, trova applicazione solo in quanto non sia diversamente previsto dalla contrattazione collettiva, la quale può attribuire rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi che accadano durante il periodo medesimo.
Cass. Civ., Sez. Lav., 02/12/2014, n. 25482 

martedì 2 dicembre 2014

Lancio scrivania contro collega legittimo licenziamento giusta causa

È legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore responsabile di aver scaraventato contro un collega di lavoro una scrivania rifiutandosi poi di assisterlo dopo averlo colpito.
La Cassazione in particolare ha concentrato la propria attenzione sull'elemento soggettivo della condotta, sottolineando la ridotta capacità di autocontrollo nell'ambiente lavorativo e soprattutto l'intenzionalità del comportamento.
Cass. Civ., Sez. Lav., 25/11/2014, n. 25015 

giovedì 27 novembre 2014

Collocamento obbligatorio orfani di caduti in servizio

Il Consiglio di Stato ha affermato che, in caso di concorso pubblico ed ai fini del collocamento obbligatorio degli orfani di caduti in servizio, non è richiesto lo stato di disoccupazione, ma la forma speciale di collocamento non si applica agli incarichi dirigenziali. 
Ciò in quanto ai sensi dell'art. 1, comma 3°, della legge n. 407/98, per gli orfani dei caduti per causa di lavoro è venuta meno, ai soli fini del collocamento obbligatorio, la necessità del requisito dello stato di disoccupazione.
Cons. di Stato, Sez. V, 29/10/2014, n. 5361 

martedì 25 novembre 2014

Prevenzione infortuni.

La circostanza che il lavoratore, preso dalla routine del lavoro e da un eccesso di sicurezza, utilizzi impropriamente uno strumento di lavoro (nella specie, una scala senza un ancoraggio), non costituisce comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta omissiva colposa del datore di lavoro e l'evento, ove le cautele omesse siano preordinate ad evitare il rischio specifico concretamente materializzatosi nell'infortunio in danno del lavoratore.
Cass. Pen., Sez. IV, 12/11/2014, n. 46820 

martedì 11 novembre 2014

Legittimo il doppio patto di prova

La Suprema Corte ha recentemente ribadito che la reiterazione del patto di prova è legittima se giustificata dalla effettiva necessità del datore di lavoro di verificare le qualità professionali, il comportamento e la personalità del lavoratore.
Cass. Civ., Sez. Lav., 03/11/2014, n. 23381

venerdì 24 ottobre 2014

Pagamento indennità sostitutiva reintegra

Ove il lavoratore illegittimamente licenziato in regime di c.d. tutela reale - quale è quello, nella specie applicabile ratione temporis, previsto dall'art. 18 legge 20 maggio 1970 n. 300, nel testo precedente le modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92 - opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dal quinto comma dell'art. 18 cit., il rapporto di lavoro si estingue con la comunicazione al datore di lavoro di tale opzione senza che permanga, per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro, alcun obbligo retributivo con la conseguenza che l'obbligo avente ad oggetto il pagamento di tale indennità è soggetto alla disciplina della mora debendi in caso di inadempimento, o ritardo nell'adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, quale prevista dall'art. 429, terzo comma, c.p.c., salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore.
Cass. SS.UU. 27/08/2014 n. 18353

martedì 7 ottobre 2014

Presupposti per la configurabilità del mobbing

La Corte di Cassazione torna nuovamente sul tema del mobbing lavorativo, delineando i presupposti affinché questo si possa configurare. A tal fine è necessario che siano stati messi in essere nei confronti del lavoratore comportamenti di carattere persecutorio protratti nel tempo, che ci sia un evento lesivo, che questo sia stato causato dalle vessazione continue e che sia presente l'elemento soggettivo.
Il mobbing è, dunque, una figura complessa che designa un fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all'obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo. In particolare, ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere molteplici elementi: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio -illeciti o anche leciti se considerati singolarmente- che, con intento vessatorio, siano stati posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte ed il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) il suindicato elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi. 
Cass. Civ., Sez. lavoro, 25 settembre 2014, n. 20230

venerdì 3 ottobre 2014

Distinzione tra lavoro subordinato o autonomo: a volte bisogna far ricorso a criteri sussidiari

Esaminando il caso di una lavoratrice terminalista addetta alla ricezione delle scommesse licenziata verbalmente da una agenzia ippica, la Suprema Corte ha ribadito che, nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare, in quel particolare contesto, significativo per la qualificazione del rapporto di lavoro, ed occorre allora far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una sia pur minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore.
Premesso che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo, l'elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro, con assoggettamento del prestatore medesimo al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore, ed al consequenziale inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti all'attività d'impresa. L'esistenza del vincolo va apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito; d'altronde, proprio in relazione alle difficoltà che non di rado si incontrano nella distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato alla luce dei principi fondamentali indicati, si è asserito che in tale ipotesi è legittimo ricorrere a criteri distintivi sussidiari, quali la presenza di una minima organizzazione imprenditoriale ovvero l'incidenza del rischio economico, l'osservanza di un orario, la forma di retribuzione, la continuità delle prestazioni e via di seguito. Di conseguenza, è stata enucleata la "regula iuris" -che va ribadita in questa sede- secondo la quale, nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, oppure all'opposto, nel caso di prestazioni lavorative dotate di notevole elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo, al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare, in quel particolare contesto, significativo per la qualificazione del rapporto di lavoro, ed occorre allora far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una sia pur minima organizzazione imprenditoriale -anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti- e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore.
Nel caso di specie, relativo ad una controversia insorta a seguito di un licenziamento verbale intimato da una agenzia ippica ad una lavoratrice terminalista addetta alla ricezione delle scommesse, la Suprema Corte, confermando la pronuncia impugnata, ha ritenuto corretta la valutazione operata dal giudice del merito che aveva ritenuto il rapporto connotato dal requisito della subordinazione, intesa come sottoposizione della lavoratrice al potere organizzativo, di controllo e, all'occorrenza, disciplinare da parte del datore di lavoro, non ravvisandosi, nelle modalità delle prestazioni lavorative rese, margini di autonomia.
Cass. Civ., Sez. lavoro, 26 settembre 2014, n. 20367

mercoledì 1 ottobre 2014

Malattia del lavoratore: quando l'attività svolta può dirsi compatibile con lo stato morboso?

L'espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell'adempimento dell'obbligazione ed a giustificare il recesso del datore di lavoro, laddove si riscontri che l'attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione.
Il lavoratore assente per malattia, il quale quindi legittimamente non effettua la prestazione lavorativa, non per questo deve astenersi da ogni altra attività, quale in ipotesi una attività ludica o di intrattenimento, ma quest'ultima non solo deve essere compatibile con la stato di malattia, ma deve altresì essere conforme all'obbligo di correttezza e buona fede, gravante sul lavoratore, di adottare ogni cautela idonea perché cessi lo stato di malattia con conseguente recupero della idoneità al lavoro.
In particolare, l'espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell'adempimento dell'obbligazione ed a giustificare il recesso del datore di lavoro laddove si riscontri che l'attività espletata costituisca indice di scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione.
Tali principi, già enunciati in precedenti pronunce, sono stati ribaditi dal giudice di legittimità in una recente sentenza.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la pronuncia impugnata con la quale la corte del merito aveva confermato l'illegittimità del licenziamento per giusta causa irrogato ai danni di un lavoratore ritenuto dal datore di lavoro responsabile di aver svolto attività incompatibili con il denunciato stato di malattia impeditivo della prestazione lavorativa.
A giudizio della Corte, infatti, l'impugnata sentenza risulta affetta dal vizio di motivazione denunziato dal ricorrente datore di lavoro, avendo la stessa omesso di approfondire il profilo del rispetto da parte del lavoratore in malattia dell'obbligo di cautela volto a favorire la propria guarigione.
Cass. Civ., Sez. lavoro, 5 agosto 2014, n. 17625

giovedì 25 settembre 2014

PREVIDENZA SOCIALE - DECLARATORIA D'ILLEGITTIMITA' DEL LICENZIAMENTO - OBBLIGAZIONI CONTRIBUTIVE E PREVIDENZIALI - SANZIONI CIVILI - APPLICABILITA' - CONDIZIONI E PRESUPPOSTI

In caso di reintegra del lavoratore illegittimamente licenziato, il datore di lavoro, qualora il licenziamento sia dichiarato nullo od inefficace, è soggetto alle sanzioni civili per omissione contributiva, mentre, in caso di risoluzione del rapporto senza giusta causa o giustificato motivo, resta applicabile l’ordinario regime della mora debendi, fermo restando che, per il periodo successivo all’ordine di reintegrazione, riprende vigore, in ogni caso, l’ordinaria disciplina dell’omissione e dell’evasione contributiva.
Cass. SSUU sentenza n. 19665 del 18/09/2014

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martedì 23 settembre 2014

Lavoro a tempo indeterminato, l'indennità sostitutiva del preavviso prescinde dalla prova del danno.

In una recente decisione la Suprema Corte ha ribadito che l'indennità sostitutiva del preavviso ex art. 2118, comma 2, c.c. spetta in ogni caso di recesso dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato in cui non vi sia stato il preavviso lavorato, a prescindere dalla dimostrazione dell'effettiva sussistenza di un danno per la parte receduta.
L'indennità sostitutiva del preavviso ex art. 2118, comma 2, c.c. spetta in ogni caso di recesso dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato in cui non vi sia stato il preavviso lavorato, a prescindere dalla dimostrazione dell'effettiva sussistenza di un danno per la parte receduta.
Il principio è stato espressamente enunciato dal giudice di legittimità in una recente pronuncia. Nel caso di specie, relativo ad un giudizio di impugnazione di un licenziamento individuale, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso incidentale di parte datoriale, ha cassato con rinvio la pronuncia impugnata per aver la corte distrettuale ritenuto che, al fine di ottenere l'indennità di mancato preavviso a seguito delle dimissioni del dipendente, il datore di lavoro fosse tenuto a dar concreta prova di aver subito danni.
Dall'esame della norma de qua, osserva la Cassazione, si desume che il legislatore ha inteso porre rimedio, con valutazione ex ante e liquidazione forfettaria, alle conseguenze che l'immediata cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato produce per la parte receduta, che sono per il lavoratore quella di reperire un'altra occupazione e per il datore di lavoro di sostituire il dipendente dimissionario. La formulazione tassativa della disposizione impone di ritenere che l'indennità spetta in ogni caso in cui non vi sia stato un preavviso lavorato, a prescindere dalla dimostrazione dell'effettiva sussistenza di un danno a carico della parte receduta. L'approdo ermeneutico della Corte regolatrice, precisa la sentenza in epigrafe, trova puntuale riscontro in una recente pronuncia la quale, in una diversa fattispecie, aveva ritenuto che l'art. 2118 c.c. prevede comunque l'obbligo del datore di lavoro senza eccettuare l'ipotesi in cui il lavoratore licenziato senza preavviso abbia immediatamente trovato altra occupazione lavorativa.
Cass. Civ., Sez. lavoro, 21 gennaio 2014, n. 1148 (precedente)
Cass. Civ., Sez. lavoro, 2 settembre 2014, n. 18522

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Demansionamento: il danno non patrimoniale deve essere allegato e provato.

In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale che asseritamente ne deriva -non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale- non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo.
In tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio -dell'esistenza di un pregiudizio- di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Infatti, tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suddetta categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento, ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale.
Il principio, da ritenersi consolidato nella giurisprudenza di legittimità, è stato nuovamente affermato in una recente pronuncia relativa ad una controversia insorta tra un lavoratore dipendente e un'amministrazione comunale in veste di suo datore di lavoro.
Cass. Civ., Sez. lavoro, 4 settembre 2014, n. 18673

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