lunedì 11 aprile 2016

Il rifiuto del dipendente al trasferimento equivale alle sue dimissioni.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 6225 del 31/03/2016, ha stabilito che il rifiuto operato dal dipendente nei confronti del trasferimento, che risulti giustificato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, così come richiesto dall'art. 13, L. 300/1970, deve essere equiparato in tutto e per tutto ad un atto di recesso dal contratto da lavoro.
Prendendo spunto da precedenti decisioni che hanno dato vita all'orientamento secondo il quale "nell'ipotesi di controversia in ordine al quomodo della risoluzione del rapporto (licenziamento orale o dimissioni), si impone un'indagine accurata da parte del giudice di merito, che tenga adeguato conto del complesso delle risultanze istruttorie (ex plurimis Cass. n. 10651/2005), argomentano i Giudici di legittimità, a sostegno della propria decisione, che il rifiuto del dipendente a trasferirsi presso altra unità produttiva del datore deve intendersi indicativo della volontà di questo a non effettuare più la prestazione lavorativa e, conseguentemente, in tali ipotesi deve escludersi la fattispecie del licenziamento.

Cass. 31/03/2016 n. 6225


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