martedì 20 ottobre 2015

Legttimo il licenziamento per giusta causa comminato al dipendente per utilizzo PC e fumo sostanze stupefacenti.

La Corte di Cassazione ha recentemente riconosciuto la legittimità del  il recesso intimato dal datore di lavoro al lavoratore che, durante l'orario di lavoro, abbia visionato per lungo tempo un personal computer introdotto senza autorizzazione ed abbia fumato due sigarette preparate con sostanze stupefacenti.
Nella pronuncia in questione gli ermellini hanno ritenuto incensurabile la pronuncia della corte territoriale che, in riforma della decisione di prime cure, aveva rigettato la domanda proposta dal ricorrente nei confronti del datore di lavoro, riguardante l'impugnativa del licenziamento per giusta causa. La Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza impugnata logica ed adeguata,  con conseguente preclusione del sindacato di legittimità circa la valutazione delle emergenze istruttorie. Ciò in quanto il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare ed addebito contestato è devoluto al giudice del merito, la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione sufficiente e non contradditoria. Nella fattispecie è stato ritenuto corretto l'operato della Corte di Appello di Torino poiché essa  ha preso in considerazione, ai fini della proporzionalità della sanzione del licenziamento, la condotta del prestatore di lavoro sotto il profilo del valore sintomatico che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti, nonché all'idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento nonché ad incidere sull'elemento essenziale della fiducia, sotteso al rapporto di lavoro, ed in tale contesto, ha altrettanto correttamente tenuto conto della specificità dei compiti affidati al lavoratore rispetto ai quali il comportamento addebitato, risultato accertato alla stregua delle emergenze istruttorie, è stato ritenuto idoneo a far venir meno irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro nella correttezza delle future prestazioni lavorative.

venerdì 16 ottobre 2015

Pubblico impiego risarcimento danno non patrimoniale da mancata promozione

Il pubblico dipendente che ha subito illegittimamente la mancata promozione in una posizione più prestigiosa e redditizia, deve vedersi riconosciuto il risarcimento dei danni non patrimoniali corrispondenti al danno biologico ed esistenziale. La mancata progressione di carriera, pertanto, ove imputabile  ad un provvedimento illegittimo dell'amministrazione, determina il sorgere del diritto al risarcimento del danno biologico ed esistenziale a favore del soggetto interessato.
I punti essenziali della motivazione elaborata dai Giudici del Consiglio di Stato possono essere sintetizzati come segue:
1) Il danno biologico ed esistenziale deve essere provato, anche nel suo legame con i fatti basati su presunzioni semplici;
2) Il danno cosiddetto esistenziale nella fattispecie veniva ravvisato nella "mancata acquisizione di prestigio", che costituiva un elemento della personalità e della posizione del ricorrente;
3) Il danno si è tradotto in una tensione, stato di disagio, ansia e turbativa per questa mancata nomina che ha leso il prestigio e le aspettative del ricorrente;
4) Le prove del danno sono costituite da certificati medici attestanti "tachicardia parossistica con cardiopalmo", "probabile somatizzazione", il tutto avvenuto nel periodo immediatamente successivo alla mancata nomina;
5) Il risarcimento è stato determinato in via equitativa.