venerdì 24 ottobre 2014

Pagamento indennità sostitutiva reintegra

Ove il lavoratore illegittimamente licenziato in regime di c.d. tutela reale - quale è quello, nella specie applicabile ratione temporis, previsto dall'art. 18 legge 20 maggio 1970 n. 300, nel testo precedente le modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92 - opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dal quinto comma dell'art. 18 cit., il rapporto di lavoro si estingue con la comunicazione al datore di lavoro di tale opzione senza che permanga, per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro, alcun obbligo retributivo con la conseguenza che l'obbligo avente ad oggetto il pagamento di tale indennità è soggetto alla disciplina della mora debendi in caso di inadempimento, o ritardo nell'adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, quale prevista dall'art. 429, terzo comma, c.p.c., salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore.
Cass. SS.UU. 27/08/2014 n. 18353

martedì 7 ottobre 2014

Presupposti per la configurabilità del mobbing

La Corte di Cassazione torna nuovamente sul tema del mobbing lavorativo, delineando i presupposti affinché questo si possa configurare. A tal fine è necessario che siano stati messi in essere nei confronti del lavoratore comportamenti di carattere persecutorio protratti nel tempo, che ci sia un evento lesivo, che questo sia stato causato dalle vessazione continue e che sia presente l'elemento soggettivo.
Il mobbing è, dunque, una figura complessa che designa un fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all'obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo. In particolare, ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere molteplici elementi: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio -illeciti o anche leciti se considerati singolarmente- che, con intento vessatorio, siano stati posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte ed il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) il suindicato elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi. 
Cass. Civ., Sez. lavoro, 25 settembre 2014, n. 20230

venerdì 3 ottobre 2014

Distinzione tra lavoro subordinato o autonomo: a volte bisogna far ricorso a criteri sussidiari

Esaminando il caso di una lavoratrice terminalista addetta alla ricezione delle scommesse licenziata verbalmente da una agenzia ippica, la Suprema Corte ha ribadito che, nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare, in quel particolare contesto, significativo per la qualificazione del rapporto di lavoro, ed occorre allora far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una sia pur minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore.
Premesso che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo, l'elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro, con assoggettamento del prestatore medesimo al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore, ed al consequenziale inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti all'attività d'impresa. L'esistenza del vincolo va apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito; d'altronde, proprio in relazione alle difficoltà che non di rado si incontrano nella distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato alla luce dei principi fondamentali indicati, si è asserito che in tale ipotesi è legittimo ricorrere a criteri distintivi sussidiari, quali la presenza di una minima organizzazione imprenditoriale ovvero l'incidenza del rischio economico, l'osservanza di un orario, la forma di retribuzione, la continuità delle prestazioni e via di seguito. Di conseguenza, è stata enucleata la "regula iuris" -che va ribadita in questa sede- secondo la quale, nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, oppure all'opposto, nel caso di prestazioni lavorative dotate di notevole elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo, al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare, in quel particolare contesto, significativo per la qualificazione del rapporto di lavoro, ed occorre allora far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una sia pur minima organizzazione imprenditoriale -anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti- e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore.
Nel caso di specie, relativo ad una controversia insorta a seguito di un licenziamento verbale intimato da una agenzia ippica ad una lavoratrice terminalista addetta alla ricezione delle scommesse, la Suprema Corte, confermando la pronuncia impugnata, ha ritenuto corretta la valutazione operata dal giudice del merito che aveva ritenuto il rapporto connotato dal requisito della subordinazione, intesa come sottoposizione della lavoratrice al potere organizzativo, di controllo e, all'occorrenza, disciplinare da parte del datore di lavoro, non ravvisandosi, nelle modalità delle prestazioni lavorative rese, margini di autonomia.
Cass. Civ., Sez. lavoro, 26 settembre 2014, n. 20367

mercoledì 1 ottobre 2014

Malattia del lavoratore: quando l'attività svolta può dirsi compatibile con lo stato morboso?

L'espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell'adempimento dell'obbligazione ed a giustificare il recesso del datore di lavoro, laddove si riscontri che l'attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione.
Il lavoratore assente per malattia, il quale quindi legittimamente non effettua la prestazione lavorativa, non per questo deve astenersi da ogni altra attività, quale in ipotesi una attività ludica o di intrattenimento, ma quest'ultima non solo deve essere compatibile con la stato di malattia, ma deve altresì essere conforme all'obbligo di correttezza e buona fede, gravante sul lavoratore, di adottare ogni cautela idonea perché cessi lo stato di malattia con conseguente recupero della idoneità al lavoro.
In particolare, l'espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell'adempimento dell'obbligazione ed a giustificare il recesso del datore di lavoro laddove si riscontri che l'attività espletata costituisca indice di scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione.
Tali principi, già enunciati in precedenti pronunce, sono stati ribaditi dal giudice di legittimità in una recente sentenza.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la pronuncia impugnata con la quale la corte del merito aveva confermato l'illegittimità del licenziamento per giusta causa irrogato ai danni di un lavoratore ritenuto dal datore di lavoro responsabile di aver svolto attività incompatibili con il denunciato stato di malattia impeditivo della prestazione lavorativa.
A giudizio della Corte, infatti, l'impugnata sentenza risulta affetta dal vizio di motivazione denunziato dal ricorrente datore di lavoro, avendo la stessa omesso di approfondire il profilo del rispetto da parte del lavoratore in malattia dell'obbligo di cautela volto a favorire la propria guarigione.
Cass. Civ., Sez. lavoro, 5 agosto 2014, n. 17625