venerdì 3 ottobre 2014

Distinzione tra lavoro subordinato o autonomo: a volte bisogna far ricorso a criteri sussidiari

Esaminando il caso di una lavoratrice terminalista addetta alla ricezione delle scommesse licenziata verbalmente da una agenzia ippica, la Suprema Corte ha ribadito che, nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare, in quel particolare contesto, significativo per la qualificazione del rapporto di lavoro, ed occorre allora far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una sia pur minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore.
Premesso che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo, l'elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro, con assoggettamento del prestatore medesimo al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore, ed al consequenziale inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti all'attività d'impresa. L'esistenza del vincolo va apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito; d'altronde, proprio in relazione alle difficoltà che non di rado si incontrano nella distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato alla luce dei principi fondamentali indicati, si è asserito che in tale ipotesi è legittimo ricorrere a criteri distintivi sussidiari, quali la presenza di una minima organizzazione imprenditoriale ovvero l'incidenza del rischio economico, l'osservanza di un orario, la forma di retribuzione, la continuità delle prestazioni e via di seguito. Di conseguenza, è stata enucleata la "regula iuris" -che va ribadita in questa sede- secondo la quale, nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, oppure all'opposto, nel caso di prestazioni lavorative dotate di notevole elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo, al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare, in quel particolare contesto, significativo per la qualificazione del rapporto di lavoro, ed occorre allora far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una sia pur minima organizzazione imprenditoriale -anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti- e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore.
Nel caso di specie, relativo ad una controversia insorta a seguito di un licenziamento verbale intimato da una agenzia ippica ad una lavoratrice terminalista addetta alla ricezione delle scommesse, la Suprema Corte, confermando la pronuncia impugnata, ha ritenuto corretta la valutazione operata dal giudice del merito che aveva ritenuto il rapporto connotato dal requisito della subordinazione, intesa come sottoposizione della lavoratrice al potere organizzativo, di controllo e, all'occorrenza, disciplinare da parte del datore di lavoro, non ravvisandosi, nelle modalità delle prestazioni lavorative rese, margini di autonomia.
Cass. Civ., Sez. lavoro, 26 settembre 2014, n. 20367

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